Si può essere felici in tempo di crisi? Che percezione abbiamo della felicità in un momento di disorientamento collettivo? E poi siamo sicuri di ricercarla tutti nel modo giusto? "Non privarti mai di un giorno felice" ci esortava Benigni nel suo straordinario recital di fine anno sui Dieci Comandamenti trasmesso in due puntate sulla Rai, aggiungendo che il significato naturale di tutte le cose è la felicità, perciò, incitava a cercarla, la felicità, tutti i giorni, ovunque, continuamente: perché ci è stata data in dono quando siamo nati, e dobbiamo trovarla sempre nella nostra anima....".
Anche il sociologo francese, F. Lenoir la pensa allo stesso modo, nel suo ultimo libro sul tema “La felicità – un viaggio filosofico” pubblicato da Bompiani, conclude che la felicità non è un'acquisizione, come se qualcosa di esterno si venisse ad innestare in noi, ma invece .. “è il frutto di uno svelamento: preesiste in noi, e sta a noi farla emergere”. Bisogna ammettere che non si tratta affatto di un percorso facile né scontato perché le complicazioni della crisi attuale, le angosce quotidiane, il disagio continuo di questi mutamenti non ci mette certo di buon umore; siamo diventati decisamente più vulnerabili perdendo molte certezze e quindi facciamo fatica anche a dare un significato ed una giustificazione alle difficoltà di oggi. Ecco il punto: forse stiamo cercando la felicità in modi e tempi sbagliati. Continuiamo a pensare, cioè, che lo stato di apparente benessere che abbiamo conosciuto possa tornare da un momento all’altro con la semplice eliminazione degli ostacoli di tipo economico che si frappongono ad essa (aumento del Pil, diminuzione della disoccupazione, ripresa dei valori immobiliari? …) ed inoltre tendiamo a spostare la nostra attenzione sul tempo futuro nella speranza che possa assorbire immediatamente un fastidioso presente pieno di sofferenza. Ma questo ci rende ancora più ansiosi ed instabili.
Nello stesso libro di F. Lenoir viene citato uno scrittore francese del secolo scorso J. Renard che ricordava: “Non basta essere felici, bisogna pure che non lo siano gli altri”
Siamo vissuti interi decenni su questa falsa interpretazione della felicità in cui il massimo sforzo è stato quello di salvaguardare il nostro grado di soddisfazione e di agiatezza a scapito della felicità degli altri, sgomitando in una spietata competizione, in una bramosa e insensata lotta di dimostrazione narcisistica della propria superiorità.
Ed ora ci ritroviamo scoperti da ambo i lati perché questa crisi, purtroppo o per fortuna, ci mette invece di fronte ad un bivio : aspettare che passi (come ci promettono da diversi anni ormai) desiderosi di riprendere le cattive abitudini che ci hanno ingannato negli ultimi decenni, oppure “riassettarci” attraverso il graduale e salutare distacco dagli eccessi disturbanti che sono il vero ostacolo alla nostra felicità. Ancora nutriamo una certa diffidenza verso la genuinità dei nostri sentimenti, come se non ci fossimo più abituati, e non proviamo neanche più ad apprezzare le cose semplici, magari ripudiando mete irraggiungibili e opprimenti, ma riservando la nostra migliore energia alla costruzione paziente e misurata della nostra esistenza, concentrandoci sulla la nostra qualità interiore.
"Bisogna essere grati alla natura beata, scriveva Epicuro più di duemila anni fa, che rende felice procurarsi i beni necessari, e quanto a quelli che sono difficili da procurarsi, li ha resi non necessari" A furia di ricercare beni non necessari abbiamo costruito intorno a noi una fabbrica di novità esilaranti, di facezie straordinariamente inutili e dannose che forse hanno fatto risplendere la nostra stella per qualche istante di futile piacevolezza ma hanno svuotato la nostra anima dal vero senso della vita.
Benigni infine ci ammonisce ricordandoci che il tempo non è dalla nostra parte, diamoci da fare escama, così come esclamavano i contadini durante la vendemmia in un giorno di pioggia incombente, dobbiamo affrettarci a recuperare il senso della nostra felicità, con i mezzi che questo presente ci assegna. Sarà forse un lavoro più duro, ma meno velleitario e risulterà certamente più appagante e proficuo.